Archivio mensile:gennaio 2019

Cura canalare: perchè proteggere un dente devitalizzato

 

dentista termolicordisco fabio

I motivi che spingono un dentista a programmare una cura canalare, meglio nota come “devitalizzazione” dentale, possono essere svariati. Solitamente il  trattamento endodontico viene richiesto in presenza di una pulpite irreversibile o di una necrosi pulpare originante da una profonda lesione cariosa, ma non di rado è una scelta operata anche per necessità puramente protesiche.
I pazienti che hanno ricevuto una cura canalare devono però essere consapevoli che un dente devitalizzato è un dente privato della propria “polpa”, e come tale, analogamente ad un ramo d’albero separato dal proprio tronco, soggetto a modificazioni strutturali che potrebbero pregiudicarne, nel tempo, solidità ed integrità.
Per questo motivo, non potendo stabilire se, o come, un dente trattato endodonticamente si romperà, quasi sempre viene consigliata dagli odontoiatri una ricopertura del dente al fine di prevenirne la frattura: un accorgimento che i più rimandano ma che risulta di fondamentale importanza in un’ottica del tutto conservativa.

Cura canalare: cosa succede ai denti devitalizzati?

dentista termoli

Un dente devitalizzato presenta anzitutto una percentuale di idratazione inferiore rispetto ai denti vitali, oltre ad un orientamento leggermente diverso delle fibre di collagene che lo costituiscono. Vien da sé che un dente trattato endodonticamente avrà una struttura meno elastica, ed essendo più rigido una minor capacità di assorbire gli stimoli meccanici (in primis le forze masticatorie) cui è soggetto.

Denti devitalizzati e rischi di frattura

Esistono evidenze che individuano i primi premolari superiori, seguiti dai molari inferiori e superiori, quali denti maggiormente esposti a fratture; tuttavia nessun dente devitalizzato risulta indenne a rotture inaspettate.
Se si sceglie di non ricoprire un dente trattato, pur consapevoli dei rischi, è bene quindi conoscere le situazioni cui si va incontro in caso di una rottura:

  • Frattura esterna o prossima al bordo gengivale – in questo caso il dente può essere facilmente recuperato con la ricopertura protesica precedentemente evitata;
  • Frattura sotto al bordo gengivale o che raggiunge la cresta ossea –  in questo caso spesso si riesce a recuperare il dente, ma per farlo è necessario esporre il margine della frattura mediante procedure chirurgiche quali l’ “estrusione endodontica” o l’“allungamento” della corona clinica” del dente.
  • Frattura verticale –  in questo caso, purtroppo, l’unica soluzione è l’estrazione del dente.

Come proteggere un dente devitalizzato

Per evitare qualsiasi inconveniente, è dunque importante una volta terminata la terapia canalare seguire i consigli del proprio dentista, il quale in base al singolo caso saprà indicare la strategia ricostruttiva più idonea e sicura.

Ricostruzione in resina composita

Nel caso in cui il dente sia pressochè integro, a parte la cavità di accesso alla camera pulpare creato per la terapia canalare, sarà possibile restaurarlo con una semplice ricostruzione in resina composita (la cosiddetta “otturazione”) direttamente alla poltrona, in una seduta. Si tratta tuttavia di una ricostruzione, e non di una ricopertura, e in quanto tale non esente da rischi di frattura.

Intarsio dentale

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Nel caso in cui gli elementi dentari abbiano conservato un adeguato spessore delle pareti è possibile optare per intarsi a protezione cuspidale, che ricoprendo l’intera superficie masticante possono garantire una certa sicurezza.

Corona dentale

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Il ricorso ad una corona protesica è decisamente la modalità migliore e più sicura per la preservazione della sostanza dentale residua (specie se minima). La protesi, infatti, avvolgendo le pareti del dente precedentemente monconizzato viene a costituire un tutt’uno con esso, ridistribuendo uniformemente i carichi occlusali e donandogli stabilità e solidità.

Una volta che il dente devitalizzato verrà ricostruito correttamente, la prognosi è ottima e a lungo termine, assolutamente paragonabile a quella di un dente non trattato.

Malattie e Terapie Gengivali

Quali sono i sintomi della Parodontite

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La parodontite è causata dalla placca batterica che nelle fasi iniziali del processo infiammatorio provoca  arrossamento, gonfiore e sanguinamento.

La fase iniziale è rappresentata dalla Gengivite che se trascurata e non opportunamente trattata progressivamente andrà ad interessare i tessuti che sostengono il dente e nel tempo determinerà la formazione di tasche e la distruzione dell’osso alveolare, evolvendo quindi in Parodontite.

Se non diagnosticata e curata per tempo porta inevitabilmente alla perdita dei denti. 

Purtroppo i sintomi clinici della Parodontite quali ascessi o mobilità dei denti, spesso appaiono. Solo ad uno stadio avanzato della malattia.

La diagnosi di Parodontite viene effettuata durante una visita specialistica eseguita dall’Odontoiatra.

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Come prevenire la Parodontite

La prevenzione viene effettuata attraverso un’accurata igiene orale domiciliare da parte del Paziente, con controllo sia meccanico della placca batterica (attraverso lo spazzolino, il filo interdentale e lo scovolino) che chimico (con dentifricio, collutorio, etc.) e attraverso un programma di screening mantenimento (visite di controllo e sedute di igiene professionale) pianificato dall’Odontoiatra.

Il trattamento parodontale consiste nella rimozione professionale (da parte dell’Odontoiatra e dell’Igienista) dei depositi di placca e tartaro sopra- e sotto-gengivali. 

Per il successo della prevenzione e della terapia, è irrinunciabile il miglioramento dell’igiene orale da parte del Paziente ed il controllo dei fattori di rischio associati alla Parodontite.

Il trattamento parodontale in sé determinerà non solo il risanamento della  bocca affetta da piorrea, ma anche una effettiva diminuzione del rischio, ossia dei fattori che influiscono sulla incidenza/progressione della malattia.

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Un’altra caratteristica peculiare della parodontite è la recessione gengivale (gengiva che si ritira) e che lascia le radici scoperte. In alcuni casi le gengive che si ritirano possono essere curate e riposizionate grazie ad alcuni specifici trattamenti chirurgici e non-chirurgici per la copertura delle radici esposte curando ed eliminando definitivamente le recessioni gengivali.

Ascesso dentale: cos’é e come va curato

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L’ascesso dentale è un rigonfiamento purulento, contenente pus, ovvero batteri, plasma, globuli bianchi e detriti cellulari, che si può manifestare in corrispondenza dei tessuti che circondano il dente (gengive, osso mandibolare) o all’interno del dente (polpa).

Di fatto, l’ascesso dentale genera dolore e deve essere curato il prima possibile, in modo da evitare possibili conseguenze ancora più negative.

Qualora tale manifestazione dolorosa venga causata da infezioni che interessano la gengiva, il cemento radicolare, i legamenti e l’osso alveolare, si può parlare di ascesso parodontale, che, solitamente, è frequente nei pazienti affetti da parodontopatie, in quanto è facile che si verifichino infezioni purulente in corrispondenza delle tasche paradontali.

Tuttavia, esiste anche l’ascesso periapicale, che viene definito tale quando l’infezione si sviluppa a livello della polpa.

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Una condizione che si verifica soprattutto a seguito di una carie profonda. Infine, se l’infezione ha sede nella gengiva, si può manifestare il cosiddetto ascesso gengivale, che è meno grave, ma che richiede comunque un intervento tempestivo di tipo medico.

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Da cosa può essere causato? 

Tale infezione ricca di pus può essere causata da un trauma, da denti rotti o scheggiati o da carie che si sono spinte troppo in profondità. Vi sono anche dei fattori di rischio che contribuiscono allo sviluppo di ascessi dentali: interventi dentali malriusciti, fumo, cattiva igiene orale, patologie da reflusso gastroesofageo, diabete, secchezza delle fauci, AIDS, alcolismo e terapie prolungate a base di corticosteroidi.  Solitamente, tale affezione che interessa il cavo orale causa un mal di denti acuto, pulsante e davvero insopportabile. Si possono però riscontrare anche altri sintomi quali alitosi, ipersensibilità dentinale, difficoltà nella masticazione, febbree ingrossamento dei linfonodi del collo. Inoltre, le gengive tendono a presentarsi gonfie e dolenti.

Come si effettua la diagnosi?

Il dentista, per diagnosticare la presenza di un ascesso dentale, si avvale dell’esame anamnestico, ovvero raccoglie e tiene conto dei sintomi riportati dal paziente, e dell’esame fisico, ossia tocca il dente per verificare l’entità del dolore. In alcuni casi può essere utile anche attuata l’aspirazione e l’analisi di una piccola quantità di pus o una radiografia del dente, in modo da valutare con maggiore precisione l’entità del danno Una volta appurato che si tratta di ascesso dentale viene prescritta una cura antibiotica, accompagnata eventualmente dalla somministrazione di farmaci antidolorifici, per ridurre il dolore. Solitamente, dopo circa due giorni il dolore è passato. Tuttavia, è importante attenersi alla posologia raccomandata.  Al termine della fase acuta, l’ascesso deve essere trattato dal dentista con specifiche cure endodontiche, in base al caso clinico ed alle necessità del paziente.

Una cosa importante che vale la pena di sottolineare, è che per evitare lo sviluppo di tale manifestazione purulenta, è necessario, dare grande importanza alla prevenzione, ovvero effettuare controlli regolari dal dentista e sottoporsi a periodiche sedute di igiene orale.